Si, è vero: ci sono tante persone che si dichiarano non particolarmente amanti dei dolci. Eppure è innegabile che la maggior parte delle persone ne va matta e nei casi più gravi se ne strafoga. Altri li usano come consolazione nei momenti di tristezza. Ed è proprio questo il punto: cos’è che ci fa amare tanto queste prelibatezze al punto da considerarle un’ottima consolazione ai nostri problemi quotidiani? Scopriamolo in questo articolo!
Un meccanismo del nostro cervello
Sia che mangiate spesso le torte sia che non lo facciate, la dolcezza di un alimento si collega sempre al senso di piacere. E parlando dal punto di vista dell’evoluzione si trova subito il motivo: infatti per gli uomini primitivi era conveniente essere attirati da un frutto maturo ed energetico, e non da uno amaro che molto probabilmente era anche velenoso.
Ma all’epoca non si sapeva bene quali fossero i meccanismi cerebrali alla base del gradimento della dolcezza. Degli studi sui topi effettuati dagli scienziati, a livello comportamentale, hanno permesso a questi esperti di ricostruire dei passaggi che mancavano alla comprensione di questo meccanismo, e si è scoperto che dolce e amaro vanno ad attivare delle aree molto profonde nonché primordiali del nostro cervello.
Gli scienziati sono anche riusciti ad interferire con queste parti di neuroni, alterando le risposte dei (poveri!) topolini al cibo in modo imprevedibile, facendo sì che avessero reazioni positive a della semplice acqua e anche a…niente.
È uno studio estremamente importante, pubblicato sulla rivista Nature, e che sta trovando applicazione anche nel trattamento dei disturbi alimentari. In passato alcuni scienziati dell’Istituto Zuckerman, parte della Columbia University di New York City, avevano dimostrato che gli elementi chimici di alimenti dolci e amari attivano recettori diversi sulla lingua, inviando segnali a parti differenti della corteccia insulare (ovvero una parte del cervello che si occupa di convertire segnali in sensazioni).
E proprio l’insula li etichettava come dolci e amari. Tuttavia non avevano capito l’ultimo tassello, quello che legava i dolci alla sensazioen del piacere. Oggi, grazie alla tecnica dell’imaging cerebrale i ricercatori sono riusciti a chiarire che i neuroni della corteccia insulare sono collegate ad altre aree cerebrali, tra cui l’amigdala che è quella che si occupa di elaborare le emozioni.
Ed è l’amigdala ad inviare segnali diversi a seconda che l’alimento assaporato e ingerito dall’individuo sia amaro oppur dolce. Questa squadra di esperti è arrivata a tale conclusione grazie ad una serie di esperimenti: hanno inizialmente modificato geneticamente dei topi affinché l’amigdala e i suoi neuroni rispondessero a degli stimoli luminosi.
Impiantando delle fibre ottiche, le regioni dell’amigdala che corrispondono rispettivamente a dolce e amaro in questi esemplari di roditore si attivavano con la luce ogni qualvolta che i topolini entravano in delle stanze apposite, create per eseguire il test.
I topi quindi non hanno mangiato, ma evitavano alcune stanze quando stimolavano le aree dell’amaro, e si sono fermati a lungo in altre quando si attivava lo stimolo del dolce. Tutto questo, quindi, è servito a dimostrare che le risposte al “dolce” dell’amigdala si associa a delle emozioni positive, così come l’amaro si associa a delle emozioni negative.
Infine, questi topi sono stati addestrati a scegliere una porta o un’altra indicante una stanza, e in base al sapore che avvertivano riuscivano a distinguere il dolce e l’amaro anche una volta che gli scienziati avevano disattivato loro l’amigdala: i topolini riuscivano a capire la sensazione, anche se ora non la collegavano più ad una sensazione emotiva positiva o negativa.
Questo percorso serve a dimostrare perché ci piacciono tanto i dolci, dal momento che il dolce provoca in maniera innata in noi una sensazione di piacere e rilassatezza in grado anche di rilassare le tensioni nervose (al contrario, in alcuni casi l’amaro può addirittura peggiorare le cose!).
Tra i prossimi obiettivi degli scienziati c’è la memoria: infatti perché un cibo particolarmente disgustoso è in grado di lasciare una sensazione di repulsione per molto tempo? Questo segnale fino a dove si spinge?
Speriamo di parlarvene molto presto. Ma ora completiamo l’articolo andando a citare il Comfort food, che però attenzione: non prevede solo dolci, ma anche qualcosa che non vi aspettereste mai!
Il Comfort Food
Probabilmente di lui ne avete sentito parlare poco. Ma con Comfort Food si intendono dei cibi che ci fanno stare bene, soprattutto per il loro profumo. E non appagano solo lo stomaco, ma anche e soprattutto l’anima e lo spirito.
Si ritorna, del resto, al cibo come rifugio emotivo. Tutti noi abbiamo un piatto preferito, un alimento che ci migliora la giornata rendendoci più allegri e felici, e che ci consola quando siamo giù di morale. O anche per contenere l’ansia, in vista di esami o appuntamenti importanti.
Insomma il Comfort Food segue la stessa “filosofia” della comfort zone: qualcosa che ci rassicura, che conosciamo, che ci fa stare bene. Per esempio la cioccolata calda a merenda, il latte caldo prima di dormire, l’aroma di the coi biscotti. Uno spettacolo che vede come protagonisti aromi, profumi e odori.
Di cosa profuma la felicità? Per alcuni di caffè appena fatto, che diffonde il suo inconfondibile profumo per tutta la casa mentre magari siamo ancora a letto. Per altri è il ragù della mamma o della nonna, preparato la domenica mattina.
Per altri ancora il profumo di biscotti appena sfornati, di pane appena fatto dal panificio. Insomma la felicità si divide e suddivide in tantissimi profumi, che cambiano a seconda dell’individuo, ma che si ripercuotono nel cibo.
Non a caso, è il naso a dirci se un piatto ci piacerà o no, ed è sempre il naso a richiamare sensazioni piacevoli quando insieme alla memoria riconosce un profumo che sa di casa.
Gli alimenti della felicità
Ci sono però degli alimenti che riescono ad accontentare un po’ tutti, come il caffè e le brioche al mattino: sono segnali che ci invogliano ad iniziare la giornata con tanto sprint. Oppure quei profumi che giungono alle nostre sensazioni improvvisamente, e che riescono addirittura a farci sorridere (magari dopo una brutta giornata).
Di questi forse quello più noto e apprezzato è il profumo dei biscotti o delle torte fatti in casa, alimenti che ci ricordano la felicità dell’infanzia, delle mura domestiche. L’attesa frenetica durante la cottura, e “l’assalto al dolce” per consumarlo ancora caldo.
I ricordi di quando li cucinavamo con la mamma e con la nonna (o perché no: con il papà e con il nonno) divertendoci insieme con farina, prese, impasti e formine.
Eppure tra questi cibi della felicità c’è… il minestrone! E ha anche una posizione piuttosto alta nella classifica del comfort food. Un piatto tanto bistrattato, ma il cui profumo che si diffonde in cucina e in casa rappresenta uno di quelli più rassicuranti per il nostro cervello.
Infatti, specialmente quando fa freddo, le sere d’inverno, il suo aroma è un punto fermo e un riferimento che ci porta sicurezza: noi ora siamo a casa, al caldo e al sicuro. Quindi magari non è il piatto preferito di nessuno, ma rimane sicuramente tra i più accoglienti!